Nella primavera del 2006, sono stato destituito dal mio incarico di leader e rimandato da dove ero venuto, in quanto ero considerato un uomo “troppo condiscendente”. Appena rientrato, sono sprofondato in un crogiolo di tormento e agonia. Non avevo mai pensato che, dopo anni di dirigenza, le cose sarebbero andate a rotoli per il fatto di essere un uomo “troppo condiscendente”. Ho pensato che questa fosse la fine per me: chiunque mi conoscesse avrebbe saputo del mio fallimento e sarei stato additato come un cattivo esempio all’interno della
chiesa. Come potevo affrontare gli altri, dopo tutto questo? Più ci pensavo, più diventavo negativo, fino a quando ho finalmente perso la speranza di continuare a cercare la verità. Tuttavia, quando pensavo a tutti i sacrifici e alle energie spese in questi ultimi anni, non riuscivo a decidermi di abbandonare. “Se gettassi la spugna e accettassi il fallimento, tutti i miei sforzi non sarebbero forse stati vani? La gente allora non mi avrebbe stimato ancor meno? Non posso permettere che ciò accada! Devo farmi valere e non permettere che gli altri mi disprezzino. Ora, indipendentemente da quanto mi debba sforzare e da quanti torti patisca, devo farmi forza: non posso mollare a metà strada! A patto che mi ricordi la lezione del fallimento e mi concentri sulla ricerca della verità, forse un giorno potrò nuovamente diventare un leader”. Con questi pensieri in mente, tutta la negatività e la tristezza sono svanite e ho percepito una rinnovata energia nella mia ricerca.